Il professore ordinario in Economia aziendale all’Università di Torino, Fabrizio Bava, ha parlato a Tuttosport dell’inchiesta legata alla Juventus.
Il luminare non ha dubbi: “Due punti in particolare, nelle motivazioni della Corte Federale d’Appello, hanno catturato la mia attenzione. Dal passaggio in cui si accusa la Juventus di utilizzare le plusvalenze come fine e non come conseguenza, al fine di migliorare i bilanci. Un concetto persino ingenuo: in una società di capitali, tanto più quotata in Borsa, la plusvalenza rappresenta un ricavo ordinario”, ha spiegato in premessa Bava.
“A maggior ragione nel contesto della stagione sportiva 2019/2020, condizionata dalla pandemia: se crollano i ricavi, la plusvalenza è l’unica leva per la società. Si punta il dito contro lo schema in cui i nomi dei giocatori sono sostituiti da delle “x”, ma se vengo incaricato di ricavare un certo ammontare di plusvalenze ragiono esattamente così: mi appunto chi penso di sacrificare, anche se non so ancora chi comprerò per sostituirlo. Perché dovrebbe essere un comportamento sleale? E perché generare plusvalenze non dovrebbe essere un obiettivo?”.
Il docente di economia smonta il punto in cui la Procura “incolpa il club di aver cercato di dissimulare la natura permutativa di alcuni scambi. Si tratta di un tema mai contestato in passato, di uno spunto nato dall’ispezione della Consob che ha evidenziato la mancata applicazione dell’ormai celebre paragrafo 45 dello IAS 38”.
“Personalmente suscita una certa perplessità una sanzione severa come il -15 in classifica di fronte alla contestazione di un super tecnicismo come la natura di una permuta. Anche perché, all’interno delle motivazioni, c’è tutto lo spazio per sostenere tesi differenti, non si tratta di una sentenza che presenta prove inconfutabili”.
Il docente è un fiume in piena: “Uno: la Juventus ha specificato di non aver mai applicato quei principi in precedenza e mai nulla le è stato contestato, come nemmeno a Roma o Lazio che sono state o sono quotate in Borsa”.
“Due: la Consob rileva come due club portoghesi li applichino, riconoscendo implicitamente che in Italia e in Europa nessuno o quasi lo faccia”.
“Tre: se avesse ragione la Consob, allora il problema verosimilmente si allargherebbe a tutti i club, non soltanto a quelli presenti a Piazza Affari. Ai bilanci non IAS si applicano regole del codice civile e i principi contabili nazionali, in cui la permuta di beni intangibili non è disciplinata e dunque si dovrebbe applicare per analogia la permuta dei beni materiali. E in questo caso non servirebbero intercettazioni per verificare le operazioni, sarebbe sufficiente chiedere alle società come si sono comportate”.
“Quattro: la società di revisione, ovvero Deloitte, ha spiegato di non avere appunti da muovere in relazione alle plusvalenze e, dunque, di non essere d’accordo con la Consob, pur dopo aver visionato i fascicoli della Procura di Torino. E il revisore non ha certo operato con leggerezza, dato che il cliente è indagato e che può essere sanzionato se sbaglia nella valutazione. Ma non è finita qui”.
Duro l’intervento anche sulle motivazioni: “Nelle motivazioni si spiega che il bilancio della Juventus è inattendibile perché così ha rilevato anche la Consob, ma non è vero: quel passaggio riguarda uno scenario più ampio all’interno del quale rientra anche la manovra stipendi, quindi si tratta di una grave inesattezza. E poi coltivo un altro dubbio: si parla di una “inevitabile alterazione dei risultati sportivi”, ma senza spiegare il perché. Prima si spiega che i numeri non contano, in quanto viene punito un comportamento, poi si sostiene che questi ultimi, se alterati, modifichino i risultati. C’è una chiara contraddizione”.