In merito al caso delle plusvalenze che ha portato sotto indagine la Juventus, la Gazzetta dello Sport ha intervistato Andrea Sartori, Global Head of Sport di Kpmg, società che si occupa di servizi alle imprese e revisione contabile.
Secondo le analisi della Kpmg, in Italia le plusvalenze si sono alzate dal 21% al 31% dal 2011 al 2020 (a livelli internazionale si è passati dal 32% al 54%). A finire nella bufera la Juventus, che non è però sul podio dei club italiani che ricorrono a questa strategia.
“Ai fini dei controlli si possono utilizzare parametri comparativi per le transazioni, come per le sponsorizzazioni. Con le plusvalenze il calcio italiano ha scelto una soluzione di breve periodo che non risolve problemi strutturali” ha commentato l’analista, secondo il quale le due società che “dominano in assoluto” sono Genoa e Udinese: “Nei 9 anni esaminati il peso delle plusvalenze sui loro ricavi operativi è stato in media del 69%”.
Per quanto riguarda invece la Juventus, nello stesso periodo il peso medio è stato del 21%: meno di Roma (33%), Napoli (30%), anche se i bianconeri “hanno avuto una crescita formidabile negli ultimi anni, con picchi superiori al 30%”.
In merito ad una delle operazioni sulle quali si stanno concentrando le indagini, lo scambio Pjanic-Arthur, Sartori ha chiarito che la Juve “ha realizzato una grande plusvalenza vendendo il bosniaco ma si è portata in casa un contratto pesante come quello del brasiliano, con relativo salario e ammortamento. C’è da dire che la Juventus ha già ridotto l’attività del trading: nel 2020-21 le plusvalenze hanno rappresentato solo il 7% dei ricavi operativi“.