martedì, 16 Aprile 2024

Plusvalenze Juve, Il professore ordinario in Economia aziendale Fabrizio Bava: “Non c’è slealtà sportiva”

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Fabrizio Bava, professore ordinario in Economia aziendale nel Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino, super esperto di revisione aziendale, bilancio d’esercizio OIC, oltre che di crisi d’impresa, merito creditizio, piani industriali, e valutazione d’azienda, si è espresso sul tema plusvalenze che da mesi ha investito la Juve.

Ecco gli estratti più significativi della sua analisi pubblicata nel suo blog online :

La Juventus, afferma la Sentenza sulle plusvalenze, non è stata condannata per l’aver commesso errori nella redazione dei bilanci, né per avere gonfiato i prezzi di cessione dei calciatori o per avere contabilizzato come operazioni di cessione delle operazioni che, ai sensi dello IAS 38, sarebbero state da qualificare come permute e, conseguentemente, in alcuni casi (NON SEMPRE) da contabilizzare al valore contabile (cioè in continuità di valori, per utilizzare i termini della sentenza)”.

“La Sentenza sostiene che gli errori in bilancio ci sarebbero, ma che non hanno causato la condanna e, in ogni caso, non sono nè individuati nè elencati in modo puntuale”.

A mio parere, su questo tema, l’esposizione non è affatto chiara, non so se per scelta, considerato che la Sentenza si propone di mettere in luce il “sistema Juventus” e, pur affermando che i bilanci non sarebbero veritieri, allo stesso tempo precisa che non è poi rilevante ai fini del processo sportivo andarlo a verificare, considerati gli articoli richiamati ai fini della condanna”.

PRINCIPI DI LEALTÀ SPORTIVA
“La motivazione della condanna è da individuare nella violazione dei principi di lealtà sportiva, e la Sentenza esplicita (seppur secondo me in modo non affatto chiaro) quali sono gli elementi che sono stati ritenuti tali da configurare tale fattispecie. Va premesso che il concetto stesso di lealtà sportiva, a mio parere, è piuttosto evanescente, ma non sono un esperto di diritto sportivo […]”.

MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA
“Ma allora, quali sono i motivi che hanno portato alla condanna?
Per non commettere errori di interpretazione, riporto alcuni estratti della sentenza”.

«Non si tratta di discutere della legittimità di un determinato valore in assoluto. Né di operare una valutazione del prezzo scambiato. Si tratta invece di valutare comportamenti (scorretti) e gli effetti di tali comportamenti sistematici e ripetuti sul bilancio. Sotto tale profilo, la decisione revocata non ha nulla a che vedere con una preordinata intenzione di non utilizzare alcun metodo se non quello di una ricerca artificiale di plusvalenze come obiettivo e non come effetto delle operazioni condotte».

“La sentenza afferma quindi che non è la valutazione attribuita ai calciatori ad avere causato la condanna (anche se si afferma comunque che sarebbero stati alterati), ma l’aver adottato una precisa strategia finalizzata a migliorare i risultati di bilancio attraverso le plusvalenze che sarebbero stato il fine e non soltanto l’effetto della vendita”.

LA SLEALTÀ SPORTIVA
Arriviamo al dunque, i due comportamenti sopra illustrati configurano slealtà sotto il profilo sportivo?

“Questo è il punto dirimente. Secondo me no. Spiego la mia affermazione.
L’amministratore delegato di una SpA in perdita (persino quotata in Borsa) ha il dover di perseguire politiche (legali) di massimizzazione del risultato. Nell’ambito delle squadre di calcio i ricavi da plusvalenze sono da considerare di natura ordinaria. È infatti attività ordinaria in tale business l’acquisto e la cessione dei calciatori, esattamente come lo è per un’impresa manifatturiera sostituire i macchinari. In situazioni di squilibrio economico, laddove il budget stimi perdite di gestione (e si badi bene, il bilancio con le maggiori plusvalenze è quello del Covid), per contenere le perdite, non essendo sufficienti le altre tipologie di ricavi (diritti televisivi, stadio, merchandising, ecc.), l’unica leva attivabile è quella delle plusvalenze.

UN ESEMPIO PER CHIARIRE
Se una società ha disperato bisogno di ottenere plusvalenze, è del tutto comprensibile che, ad esempio, l’amministratore delegato possa aver detto al direttore sportivo qualcosa del tipo (per evitare fraintendimenti, sto inventando il colloquio): “Ho bisogno di X milioni di euro di plusvalenze! Vendi chi ritieni tenendo conto che dobbiamo essere competitivi!”.

E chi è preposto a fare le cessioni e gli acquisti potrebbe essersi appuntato su un foglio i nomi dei giocatori ritenuti cedibili con l’indicazione della plusvalenza stimata, pari alla differenza tra il prezzo che si ritiene di riuscire ad ottenere e il valore netto contabile. Non solo non è necessario in questa fase avere già individuato chi acquistare, ma non c’è nulla di male nell’avere fatto un ragionamento su quanti giocatori potrebbe essere opportuno cedere.

Non si tratta di slealtà sportiva. Ovviamente, a condizione che ci sia anche un’esigenza sportiva alla base delle cessioni e degli acquisti, il cosiddetto “fondamento economico” dell’operazione. Presumo che gli estensori della Sentenza ritengano che non ci fosse alcun fondamento, ma la programmazione sistematica della realizzazione di plusvalenze non è sleale.

LE PLUSVALENZE, DI PER SÉ, POSSONO ESSERE UN LECITO OBIETTIVO DI BILANCIO
Quindi sì, le plusvalenze in simili casi possono essere l’obiettivo e non la conseguenza! E in ciò non ci trovo nulla che possa essere qualificato come sleale dal punto di vista sportivo. Lo so che non tutti condivideranno questa affermazione, ma i bilanci sono importanti, ancora di più per una società quotata.

Nella Sentenza si afferma come fossero in molti all’interno della Juventus consapevoli dell’eccessivo ricorso alle plusvalenze che se da una parte consentono un beneficio immediato, dall’altra originano maggiori ammortamenti nei successivi esercizi. È naturalmente vero che un eccessivo ricorso alla leva delle plusvalenze crea un circolo vizioso in cui si è “costretti” a ricercare ogni anno maggiori plusvalenze per coprire i maggiori ammortamenti (lo stesso accade alle imprese che incrementano indebitamente le rimanenze di magazzino). Ma tale strategia non può essere ritenuta né illegale, nè, a mio parere, sleale sotto il profilo sportivo. Si tratta evidentemente, di una pessima strategia di chi non trova altre vie per incrementare i ricavi […].

Una battuta finale da tifoso. Ma se ci sono squadre importanti in cui la percentuale di plusvalenze sui ricavi è simile o maggiore a quella della Juve non è che potrebbero (condizionale) avere adottato lo stesso “comportamento sistematico e non isolato”? Può darsi, ma come chiarisce la Sentenza, non ci sono le evidenze (intercettazioni e documenti) in grado di dimostrarlo.
Mi sorge spontanea la domanda: siamo sicuri che una simile Sentenza non violi il principio di lealtà sportiva? (è solo una battuta da tifoso, ovviamente).

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