Luciano Moggi si trova costretto ancora una volta a intervenire su Calciopoli, dopo le parole del figlio di Giacinto Facchetti, Gianfelice che ha rilasciato un intervista in cui ha dichiarato che il nome dell’oramai padre scomparso è stato tirato in ballo è infangato con Calciopoli.
“È andata in giudicato la sentenza che assolve il sottoscritto e condanna Gianfelice Facchetti, che mi aveva querelato per diffamazione, rendendo un servizio a chi è tuttora alla ricerca di una verità palese ma tenuta nascosta”, premette Moggi che sgombra subito il campo dopo le accuse mosse dal figlio del dirigente nerazzurro.
“La sentenza della Corte di Appello di Milano (2166) conferma che l’ allora presidente dell’ Inter, Giacinto Facchetti, «faceva lobbing con gli arbitri», mentre il Procuratore Figc, Palazzi, attestava che in quel modo l’ Inter era passibile di art.6, cioè di illecito. Si è così dimostrata una diversità di giudizio rispetto a Napoli dove si è andati contro la Juve a prescindere (escludendo le altre squadre), ancorché la sentenza del processo sportivo recitasse: «Campionato regolare, nessuna partita alterata»”, ricorda Moggi.
E ancora, scrive Moggi sui social: “Tutti hanno dovuto prenderne atto, Cassazione compresa. Si è spostata allora l’ attenzione sul «condizionamento del campionato», considerato il potere di cui era accreditato lo scrivente, che portò ad ipotizzare il reato a «consumazione anticipata». Potevano usare la parola «competenza» al posto di «potere», ma non avrebbe reso”.
“Eppure, grazie a quella competenza, l’Italia zeppa di juventini (come la Francia) in quel 2006 vinse il Mondiale. Per far capire la valenza della mossa di escludere le altre società dal processo, basta ricordare che lo statuto federale consentiva di parlare con i designatori”.
“Però non come fece Facchetti quando chiese a Bergamo di intervenire sull’arbitro Bertini perché facesse vincere i suoi in semifinale di Coppa Italia contro il Cagliari. L’ intercettazione di cui sopra è agli atti a Milano, mentre a Napoli il pm Narducci per molto tempo ha sostenuto che non esistessero telefonate dei nerazzurri. Dal canto suo il maggiore Auricchio, l’ investigatore, aveva respinto il guardalinee Coppola che voleva denunciare il condizionamento dell’ Inter per la squalifica di Cordoba (Inter-Venezia): «L’ Inter non ci interessa». Mentre al sottoscritto, per un colloquio con Bergamo per lamentarmi dell’ arbitraggio di De Santis a Palermo, coniarono il termine «grigliata»: il designatore mi fece presente le difficoltà e mi chiese un parere, io gli parlai degli arbitri più in forma, lui alla fine fece diversamente”.
“D’altra parte, se fosse stata contestualizzata la chiamata di Bergamo a Galliani, numero due del Milan, dopo il ko rossonero con la Juve poi scudettata («A casa mia abbiamo pianto, siamo dispiaciuti, non avrei mai pensato che la Juve potesse vincere a Milano con Collina»), o quella che Galliani, allora presidente di Lega, fece al suo addetto agli arbitri, Meani, per la gara da recuperare per la morte di Papa Wojtyla («Moggi e Capello volevano spostarla di un giorno, io l’ ho spostata di una settimana così potremo recuperare Kakà, infortunato, per Siena»), tutti avrebbero capito che Bergamo poteva essere tutto tranne che un nostro sodale. Queste sono solo alcune “perle”: a voi le conclusioni, grazie a Gianfelice per averci dato questa opportunità”, conclude l’ex direttore generale della Juventus.