Fabrizio Bava, professore ordinario in Economia aziendale all’Università di Torino, nonché tifoso bianconero, ha fatto un’analisi dettagliata sui conti della Juve dopo la chiusura del mercato estivo.
«A giudicare da come si è concluso il mercato direi che la società possa ritenersi soddisfatta. I costi a bilancio sono stati appesantiti di pochissimo e di fatto il mercato si è autofinanziato con le cessioni. La prospettiva sul futuro, in particolare, è positiva: l’ammortamento di Vlahovic è all’ultimo anno. L’anno prossimo la Juve avrà 19,5 milioni in meno, perché quella cifra o diventa 0 in caso di mancato rinnovo oppure le parti spalmeranno la quota residua. E poi anche Arthur, nel 2027, andrà a zero. Con queste premesse non serviranno sacrifici dolorosi in futuro».
La via di mezzo tra accontentare Tudor e tenere i conti in ordine, mai come quest’anno, non era così facile da trovare.
«La sensazione è che la Juventus non potesse fare meglio così, pur aumentando leggermente i costi. Garantire la competitività sul campo non poteva che essere un tema preminente: sono arrivati, però, dei giocatori che rappresentano degli investimenti. Per età e prospettive: penso a Zhegrova e Openda, ma soprattutto a Conceiçao. Ha un prezzo tutto sommato moderato, ha già dimostrato il suo valore tecnico e ha una carta d’identità che fa pensare che tra qualche anno la Juve possa anche pensare di cederlo ad una cifra superiore. L’operazione Joao Mario, poi, è stata compensata in maniera praticamente pari alla cessione di Alberto Costa».
Sul colpo Jonathan David a livello economico-finanziario:
«Serve una premessa: è costato 12.5 milioni e ha un ingaggio importante, che pesa circa 11 milioni lordi all’anno. Sì, l’operazione ha sicuramente sforato il tetto ingaggi, ma è venuto meno l’esborso per il cartellino. Il bilancio, relativamente al tema stipendi, viene tanto impattato da Vlahovic, ma appunto è un problema che ormai ha una scadenza imminente».
Sulle cessioni?
«Partiamo dai prestiti di Douglas Luiz e Nico Gonzalez, che diventeranno obblighi a determinate condizioni. La Juve, solo con i prestiti, risparmia circa 12,7 milioni lordi. Non sono pochi. Mentre Savona e Mbangula meritano un ragionamento a parte».
«I giocatori più appetibili sul mercato sono sempre quelli che costano poco, quelli cioè con ingaggi ancora modesti. La liquidità di queste due cessioni ha dato il via libera alle operazioni finali: è vero che il tifoso, soprattutto in relazione al loro percorso dalla Next Gen alla prima squadra, possa storcere il naso. Soprattutto ripensando alla recente esplosione di Huijsen. Ma a livello finanziario la Next Gen aiuta a generare liquidità, sebbene sul piano tecnico non si possa dipendere solo ed esclusivamente dai talenti della seconda squadra. Ci possono essere gli Yildiz, ma gli altri è inevitabile che vengano sacrificati se non ritenuti di sicura prospettiva».
Alla domanda su quali altri benefici economici può ottenere la Juve nel corso della stagione, Bava ha risposto così:
«Passare un turno in più in Champions League, rispetto alla scorsa stagione, sarebbe già tanto: parliamo di circa 15 milioni. E poi non dimentichiamoci di Thiago Motta: se a marzo erano stati versati 15 milioni significa che coprivano anche il suo esonero. La Juve ha dovuto caricare tutto il costo subito. Quei soldi, però, oggi possono diventare un ricavo: significherebbe risparmiare circa 12/13 milioni».
Nel mirino della Juve c’è un obiettivo macro: l’utile entro il 2027. Ritiene che il traguardo sia raggiungibile?
«Realisticamente sì. Le variabili legate ai risultati ottenuti sul campo, in questo senso, faranno la differenza. Di sicuro la società sta lavorando in questa prospettiva. Ma bisogna fare attenzione ad un concetto: plusvalenze e aumento di capitale, nell’ottica di questo discorso, hanno un peso specifico pressoché nullo. La Juve sa benissimo che non può più pianificare 100-110 milioni annui di plusvalenze: nel business plan, infatti, è indicata una soglia inferiore a 70 milioni. Ne bastano circa 50/60, ragionevolmente una somma pari al 10% del fatturato annuo. Dimentichiamoci, per esempio, l’anno dell’arrivo di Higuain: da quel momento in avanti il peso delle plusvalenze è stato clamoroso. E i costi erano incoerenti rispetto ai ricavi. Anche l’aumento di capitale non incide: migliorare la solidità patrimoniale non aiuta a garantire l’equilibrio tra ricavi e costi».
E i ricavi? Come si sta muovendo la Juve?
«Si sta adoperando al meglio delle sue possibilità. Lo stadio è già a pieno regime. Il merchandising è stato esternalizzato, con le sponsorizzazioni la fatica è estrema e in più l’appeal della Serie A a livello televisivo di sicuro complica notevolmente il contesto. Un solo elemento può agevolare l’aumento dei ricavi».
Quale?
«I risultati. Proprio per questo non si può perdere di vista la competitività e proprio per questo motivo il lieve aumento dei costi di quest’anno è assolutamente normale. Il calcio non funziona come una normale azienda. Solitamente se hai un prodotto bello, il bilancio sarà una naturale conseguenza. Il calcio non funziona così, la materia è piuttosto complicata, altrimenti il Psg vincerebbe sempre. Di sicuro la Juve, rispetto alla rivoluzione dello scorso anno, ha fatto ciò che aveva in mente già con Giuntoli: puntellare la rosa. Sono arrivati pochi giocatori, ma mirati».
Comolli e il Fair Play Finanziario”
«Penso che Comolli abbia voluto nascondere dietro l’Uefa una scelta – legittima – della proprietà su alcune cessioni, in particolare quelle di Savona e Mbangula. Nei prossimi due anni il costo della rosa dovrà essere ridotto, ma non per i paletti del FFP, bensì per consentire il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato dalla proprietà: l’utile. Così facendo i costi non potranno automaticamente superare il 70% dei ricavi. Cioè, la Juve farebbe molto meglio di così. E poi l’obiettivo del 2027 l’ha stabilito la proprietà, non certo l’Uefa. Se poi la Juve si rendesse conto di non potercela fare, può tranquillamente rimandare il discorso al 2028 o al 2029. La stella polare, però, resta quella».