Fabio Ravezzani spiega su facebook perché è contrario a punire la Juve con la retrocessione in serie B invocata da tanti detrattori della Vecchia Signora. Questo il pensiero del direttore di TeleLombardia:
“Visto che qualcuno me ne ha chiesto ragione anche qui, vorrei spiegarvi bene la mia proposta di eliminare dalla giustizia sportiva la retrocessione dei club di serie A condannati per gravi sanzioni”.
Tanto per cominciare, “il discorso non riguarda solo la Juve, quindi smettiamola di dividerci in juventini e antijuventini. Io parlo di quell’ala iper giustizialista che invoca già ora, senza nemmeno una condanna, radiazione o almeno retrocessione per i bianconeri”.
Il giornalista spiega di aver “guardato gli effetti della retrocessione Juve nel 2006. È incontrovertibile che abbia dato il via a un processo di pesante ridimensionamento della serie A i cui effetti sono misurabili nel medio termine”.
“Possiamo dire che la Juve in B ha fatto malissimo al club ma anche alla serie A. Competizione meno appetibile, meno vendibilità all’estero dei diritti televisivi, meno incassi allo stadio per le rivali. E ancor peggio sarebbe stato con Milan o Inter retrocesse”.
La domanda che si pone Ravezzani è la seguente: “ha senso per punire un club penalizzare anche gli altri sul piano dei ricavi? Non sarebbe più saggio dare sentenze severe ma non escludere un grande attore dalla competizione? Ho citato in tal senso la F1 dove ogni tipo di comportamento disonesto è stato punito con ammende economiche, ma senza squalifiche per i grandi team”.
E dunque, “non sarebbe stato meglio dare 100 mln di multa e 15 punti di penalizzazione alla Juve nel 2006? Mandarla in B non è certamente servito alle rivali, anzi. La Juve si è ripresentata in A l’anno dopo e il danno economico lo hanno subíto anche le concorrenti private di una rivale che faceva cassetta anche per loro”.
Conclude il giornalista: “L’obiezione più naturale è: perché un simile ordinamento eccezionale solo per il calcio professionistico? Rispondo con questa considerazione: cos’ha in comune ormai il calcio professionistico con quelli dei dilettanti? Ben poco”.