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Processo Trentalange, tutto rinviato a causa del clamoroso autogol di Chinè. La causa? carenze e assenze di documentazione fornita ai giudici

Il clamoroso autogoal di Chinè nel processo Trentalange ci viene raccontato dal portale web “storie di sport”:

In aula c’erano i vertici dell’intera Procura federale: Chinè, Ricciardi e Scarpa. E c’era tutto il collegio difensivo: Mattarella, Presutti e Gallinelli. Un dibattimento senza esclusioni di colpi, la Procura federale – raccontano – colta in fallo perché ad esempio l’istruttoria sui permessi rilasciati a D’Onofrio dal tribunale era incompleta, anzi carente, anzi assente”, si legge.

In aula il procuratore capo Giuseppe Chinè ha dovuto giocoforza ammettere di aver riferito al presidente federale Gabriele Gravina alcune circostanze (non suffragate dai documenti) che il presidente federale ha poi dichiarato e girato in consiglio federale accompagnando i capi di accusa rivolti alle condotte del capo dell’Aia: “D’Onofrio si muoveva senza permessi” aveva detto tuonando ai consiglieri federali”.

Invece, “in udienza la difesa di Trentalange ha prodotto i permessi regolarmente rilasciati dal tribunale a Rosario D’Onofrio (che era ai domiciliari), permessi che la Procura federale non aveva però acquisito. “Come ha fatto la difesa ad avere copia dei permessi?”, ha chiesto Chinè. La risposta, semplice: “Semplice, li abbiamo chiesti al difensore di D’Onofrio”. Spiazzato, il procuratore capo – le indagini sono state svolte dal sostituto Scarpa – adesso dovrà dunque acquisire carte e permessi, documenti che sono già in possesso della difesa e che li ha prodotti, documenti invece non acquisiti dalla Procura nel corso delle indagini”.

Ma c’è dell’altro: “Come un altro, visibile dal cambiamento d’espressione dipinto sul volto di Chinè quando si è ricostruito come il 29 luglio del 2022 fu proprio lui a sentire D’Onofrio in collegamento da remoto con il Comitato Regionale Lombardia: il 29 luglio del 2022 D’Onofrio era però ai domiciliari, autorizzato a presenziarvi. Dunque, secondo la difesa dell’ex presidente dell’Aia, Chinè poteva non saperlo, certo e legittimo. E allora, “perché avrebbe dovuto saperlo Trentalange?”. La domanda è rimbalzata rumorosa prima del gong. Tutto rinviato a marzo. Al momento paga solo il presidente della sezione di Cinisello, a cui è stata ritirata la tessera”.

E poi le memorie. Trentalange non è responsabile di alcuno dei sette addebiti che gli vengono mossi dalla Procura federale: “ha il solo torto di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Cominciano così le ventuno pagine di memorie difensive presentate stamattina in dibattimento al Tribunale federale Nazionale (presidente Roberto Proietti) dal collegio dei difensori (Bernardo Mattarella, Paolo Gallinelli, Avilio Presutti) dell’ex presidente dell’Aia, dimessosi dopo il commissariamento della giustizia sportiva il 18 dicembre, ondata di ritorno dopo lo tsunami provocato dal nuovo arresto (10 novembre 2022) di Rosario D’Onofrio, il procuratore capo che indagava e inquisiva gli arbitri pur essendo lui pregiudicato già condannato per traffico internazionale di droga, un soggetto falsificatore e per giunta ludopatico che per anni si è preso gioco delle istituzioni sportive, militari e giudiziarie italiane”.

Dunque Alfredo Trentalange non ha coperto, non ha brigato, non ha non controllato, non è un bugiardo, non è un folle e nemmeno un suicida; s’è piuttosto semplicemente attenuto ai regolamenti, alle norme, agli usi, ai costumi e alle prescrizioni osservate e tenute nel corso degli anni, non solo nell’Aia ma anche in Figc”.

“Frodato come gli altri, impossibilitato ad agire, prima e diversamente, soltanto perché non poteva sapere, e del resto chi sapeva (Tribunale di Milano, Procura della Repubblica, Tribunale di Sorveglianza) non ha mai detto dei precedenti penali pur autorizzando D’Onofrio ai viaggi per svolgere le sue funzioni in Aia e per giunta chi doveva controllare (ad esempio sui rimborsi spese) non erano (e non sono) dipendenti dell’Aia ma della Figc, del resto è la stessa Figc che non impone la presentazione di un casellario giudiziario ma autocertificazioni ai propri candidati in sede di nomina, così come emerso pure in un convulso consiglio federale: è su questa linea che la difesa prova a smontare tutte le accuse, a scardinare “il castello accusatorio” della Procura federale, destinataria di bordate in punta di diritto dei rilievi del collegio difensivo, a dimostrare come Trentalange sia innocente e debba per questo essere prosciolto da ogni accusa e mondato da ogni onta”.

Piuttosto, per i tre avvocati del collegio difensivo, “sono paradossali le accuse della Procura, alcuni argomenti si rivelano un boomerang per la Procura perché dimostrano soltanto che se Trentalange avesse saputo o potuto sapere, questi non avrebbe mai assunto un provvedimento come ad esempio la nomina a procuratore nazionale, che si sarebbe rilevata suicida per lo stesso Trentalange e, allo stesso tempo, omicida nei confronti del D’Onofrio”. Procura, sempre secondo i difensori “che distorce (e platealmente) le parole di Trentalange” quando l’accusa di aver prodotto e letto nel consiglio federale del 15 novembre (leggi qui) un curriculum di D’Onofrio inveritiero”.

“Le accuse della Procura federale nei confronti di Trentalange, confluite nei sette punti del deferimento, sono ricapitolate (leggi qui): commistioni, omissioni, coperture, bugie, ingerenze secondo il procuratore capo Giuseppe Chinè, violazioni scovate e ricostruite grazie ad una serie di audizioni tra cui quelle di Nicchi e del segretario generale Figc Brunelli, e poi grazie ai faldoni dell’inchiesta della Dda di Milano e della Procura della Repubblica meneghina, ai procedimenti penali nei confronti di D’Onofrio, agli atti del Tribunale di Sorveglianza, alle registrazioni audio e relazioni di dipendenti ed ex tesserati così gravi tali da chiedere la condanna dell’ex presidente dell’Aia nel primo grado di giudizio sportivo dopo il mancato accordo sulla misura del patteggiamento (Trentalange aveva chiesto la sanzione dell’ammonizione/diffida, la Procura tre mesi), patteggiamento chiesto dall’ex capo Aia non perché si riteneva (e si ritenga) colpevole ma solo “per allontanare definitivamente i riflettori dall’Associazione, sacrificando così il suo diritto di difesa nel procedimento disciplinare”.

Dunque: “Niente da fare, niente accordo sulle misure del patteggiamento: è così che si era arrivati oggi in Tribunale federale Nazionale al processo Trentalange. Un dibattimento affilato e iniziato di primo mattino (ore 9), il timer acceso perché il professore Bernardo Mattarella aveva inderogabili impegni universitari e dunque, nel caso non si fosse arrivati a chiudere l’udienza entro le ore 10.30, era stato stabilito il rinvio per le repliche e le conclusioni al giorno seguente. E invece niente conclusioni, niente richieste, niente appuntamento a domani: la Procura Federale costretta a ripiegare, a chiedere altro tempo per farsi trovare preparata. Se ne riparla a marzo”, si legge sul sito sportivo.

Fonte: https://storiesport.it/

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